Occhio ai Miti

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Fabrizio De Andrè

Fabrizio De Andrè

L’immagine che ci resta di De Andrè è quella di un cantautore molto amato dal pubblico. I temi da lui proposti sono variegati, tutti comunque influenzati dalla sua visione politica anarchica e dal suo enorme senso di giustizia sociale. I testi delle sue canzoni danno la possibilità di essere fruiti a diversi livelli, dal più superficiale al più complesso.

L’album di cui voglio parlare è La buona novella. Quando Fabrizio lo scrive l’Italia sta vivendo i tumulti del ’68. Riporto ora un pezzo di un’intervista all’autore riguardo al disco:

 

“…è un allegoria che si precisa nel paragone tra le istanze migliori della rivolta del ’68 e istanze, spiritualmente di sicuro più elevate, ma dal punto di vista etico-sociale direi molto simili che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere in nome di un egualitarismo e di una fratellanza universale. Si chiamava Gesù di Nazaret ed è stato il più grande rivoluzionario di tutti i tempi…”

 

Queste affermazioni possono suscitare molte reazioni contrastanti, dallo sdegno allo stupore, fino all’indignazione. Per quanto mi riguarda l’eventuale strumentalizzazione politica di questo paragone non suscita il mio interesse, mentre risulta impossibile resistere alla tentazione di capire come un mito della nostra società, laico, abbia impostato il rapporto con la materia religiosa e come possa essere giunto a tesi coerenti con la sua visione politico-sociale.

 

Il percorso di analisi comincia dalla canzone L’infanzia di Maria:

si parla di una bimba, Maria appunto, la cui vita è stata consacrata a Dio. A soli 3 anni viene chiusa in un Tempio, strappata alla sua vita di bambina e all’affetto materno. La bambina e poi la donna vive in un completo isolamento da quella che sarebbe dovuta essere la sua normale vita umana. Il privilegio di essere consacrata a Dio diventa quindi strumento di oppressione, anzi di cancellazione della vita umana.

Anche la maternità di Maria sarà controllata dal percorso che per lei è stato tracciato dal divino volere.

 

Il secondo brano che ci permette di capire l’evoluzione dell’analisi di Fabrizio è Il testamento di Tito:

vengono elencati i 10 comandamenti per bocca di un ladrone che sta per essere ucciso con Gesù. Egli riporta esempi di come il rispetto di tali comandamenti possa in realtà danneggiare i soggetti più deboli della società. Ritroviamo quindi l’imposizione delle regole divine che schiacciano l’umanità. Il narratore afferma successivamente di aver trasgredito tutte queste regole e di come non gli pesi averlo fatto.

Proprio dopo queste dure affermazioni arriva il messaggio che il “teologo” Fabrizio ci vuole mandare:

 

…io nel vedere quest’uomo che muore / madre, io provo dolore…”

 

Il ladrone è molto colpito da Gesù, questo uomo che subisce un ingiusto destino senza lamentarsi, dimostrandosi così vero profeta dell’amore e del perdono. Proprio di questo aspetto di Gesù ci parla De Andrè, questo Gesù che per primo viene penalizzato dalle regole opprimenti ed ingiuste della religione, dalle quali è compito di ognuno di noi liberarlo, facendo nostra la sua profonda dedizione all’amore.


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